La seconda edizione del Rome International Documentary Festival, che si è svolta dal 1 al 7 dicembre al Cinema Aquila di Roma, ha raggiunto risultati sorprendenti:
27 film, 4 proiezioni al giorno, 2000 spettatori, oltre 20 registi ospiti del festival provenienti da tutto il mondo, più di 300 partecipanti alle quattro masterclass.
I film sono stati molto amati dal pubblico con una media voto di ben 4,39 su 5, motivo per cui le giurie hanno dichiarato la loro difficoltà nel scegliere i vincitori. I direttori artistici del RIDF Emma Rossi Landi e Christian Carmosino Mereu hanno salutato il pubblico celebrando la grande partecipazione numerica, ma anche il coinvolgimento e l’affetto ricevuto in più momenti e forme: “Abbiamo realizzato un festival che è stato occasione di scambio e riflessione tra autori e pubblico, un festival basato l’accoglienza e l’ascolto che sono la dote fondamentale del documentarista”. Il successo della seconda edizione del RIDF dimostra ancora una volta che il documentario di creazione ha una vivacità e una grandissima potenzialità di pubblico ancora da appagare.
“HOW TO SAVE A DEAD FRIEND” di Marusya Syroechkovskaya
L’intera giuria si è commossa per questo ritratto di una gioventù che cerca di trovare una via di fuga verso l’età adulta o che cade nel baratro dell’oblio. How to Save a Dead Friend intreccia più di dieci anni di ricordi per creare qualcosa di più di semplici episodi, testimoniando la dedizione e la vocazione autentica della regista. L’intimità e la fiducia che la regista ha ottenuto dalle persone a lei care nel farsi raccontare la loro storia è una profonda testimonianza di come l’umanità possa andare oltre la nostra storia individuale.
“THE LAST YEAR OF DARKNESS” di Ben Mullinkosson
The Last Year of Darkness ci ha permesso di scoprire una realtà inedita in modo inaspettato ed elettrizzante. Lo sguardo attento e sensibile del regista e la sua attenzione per i dettagli hanno trasformato questo film in una celebrazione della vita, nonostante avrebbe potuto facilmente scivolare in toni molto più cupi. L’equilibrio tra intensità e sfumature ci ha fatto desiderare di volerne di più fino alla fine. Un film estraneo, ma familiare che ci ricorda quanto possiamo essere simili nonostante culture e continenti lontani, raccontato con uno stile visivo pienamente riuscito.
“AMOR” di Virginia Eleuteri Serpieri
All’unanimità la giuria assegna una menzione speciale al film Amor, di Virginia Eleuteri Serpieri, per l’accuratezza di un apparato iconografico capace di esaltare il parallelo tra discesa vertiginosa nei recessi della psiche e immersione profonda in una Roma vista dal Tevere. Attraverso forme cinematografiche magnificamente ibride, ma lontano dal film diario cronologico, Amor costruisce un mirabile dispositivo narrativo, in cui la viva presenza dell’autrice scandisce un racconto che da personale riesce a farsi collettivo e mitologico.
“N’EN PARLONS PLUS”
di Cécile Khindria e Vittorio Moroni
Per aver fatto luce, attraverso un linguaggio riflessivo e sapientemente costruito, su di una pagina sconosciuta e nascosta del doloroso processo di decolonizzazione dell’Algeria, fondendo storia personale e storia collettiva in un racconto che veicola un messaggio universale.
“KRIPTON” di Francesco Munzi
“IRINA HALE – L’ARTISTA BAMBINA”
di Cristina D’Eredità
“N’EN PARLONS PLUS”
di Cécile Khindria e Vittorio Moroni
David Garcia per “Adieu savage” di Sergio Guataquira Sermiento
Beatrice Mele per “AMOR” di Virginia Eleuteri Serpieri
Adelina Bichis, Martina Moor, Anna Savchenko, Giorgio Villa per “Touché” di Martina Moor
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